I faraoni dell’antica Cina - Luca Zampi e Davide Ramunno
Esiste una terra che cela in sé tanti misteri quanti i granelli che la costituiscono, una terra che rappresenta il crocevia delle più grandi civiltà del passato e che nonostante i millenni sulle sue spalle, svetta maestosamente anche sulle avanguardie della nostra pseudo-modernità: l’Egitto. Sull’Egitto e i suoi segreti si è scritto tutto e il contrario di tutto, impossibile analizzare tutte le teorie elaborate dai cosiddetti “contro-informatori”; così come è impossibile accettare quella narrativa ufficiale che attraverso il dogma del celeberrimo Zahi Hawass ha imposto la sua liturgia in tutte le accademie.
Ma la cosa incredibile dell’Egitto, non è solo la sua possibile dislocabilità nel tempo, ossia in un tempo più remoto di quello riconosciuto dall’ortodossia accademica, ma anche nello spazio. Nel solco degli studi sull’area baltica, tracciato da ricercatori indipendenti come Felice Vinci, Cinzia Mele, Mauro Biglino e Marco Goti, l’Egitto mediorientale – “Aegyptos” – verrebbe a distinguersi dall’Egitto biblico – “Mitsrayim“ – il quale sarebbe invece collocabile nell’area baltica e sovrapponibile agli odierni Paesi Scandinavi.
Vi sono però elementi che sembrano rivelare come dall’Egitto “finnico” non sia derivato “solo” l’Egitto mediorientale bensì anche un Egitto dell’Estremo Oriente, un Egitto “made in China”. Le rotte artiche avrebbero funto da ponte tra i due regni. Regni che insieme a quello mediorientale, sarebbero stati sotto il controllo di una medesima gerarchia “celeste”.